martedì 22 luglio 2008

L' urlo

Edvard Munch, L'urlo, 1885

"Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò e il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue; mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto sul fiordo nerazzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco; i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura."
Un fenomeno naturale realmente accaduto a causa dell'eruzione vulcanica avvenuta nelle isole Fiji, i cui effetti di luci sono stati visibili sino in Norvegia, hanno forse ispirato queso capolavoro.
Il quadro presenta, in primo piano, l'uomo che urla.
Lo taglia in diagonale il parapetto del ponte visto in fuga verso sinistra. Sulla destra vi e' invece un innaturale paesaggio, desolato e poco accogliente. In alto il cielo e' striato di un rosso molto drammatico. L'uomo e' rappresentato in maniera molto visionaria. Ha un aspetto sinuoso e molle. Piu' che ad un corpo, fa pensare ad uno spirito. La testa e' completamente calva come un teschio ricoperto da una pelle mummificata. Gli occhi hanno uno sguardo allucinato e terrorizzato. Il naso e' quasi assente, mentre la bocca si apre in uno spasmo innaturale. L'ovale della bocca e' il vero centro compositivo del quadro. Da esso le onde sonore del grido mettono in movimento tutto il quadro: agitano sia il corpo dell'uomo sia le onde che definiscono il paesaggio e il cielo. Restano diritti solo il ponte e le sagome dei due uomini sullo sfondo, sordi ed impassibili all'urlo che proviene dall'anima dell'uomo. Sono gli amici del pittore, incuranti della sua angoscia. L'urlo di questo quadro rappresenta l'angoscia che si racchiude in uno spirito tormentato che vuole esplodere in un grido liberatorio. L'urlo rimane solo un grido sordo che non puo' essere avvertito dagli altri ma rappresenta tutto il dolore che vorrebbe uscire da noi, senza mai riuscirci. E cosi' l'urlo diviene un modo per guardare dentro di se', ritrovandovi angoscia e disperazione.

lunedì 14 luglio 2008

La Divina Commedia ...in musica


http://www.ladivinacommediaopera.it/

LA DIVINA COMMEDIA. L'Opera. L'uomo che cerca l'Amore.

"Questa lettura del poema vuole sottolineare la capacità della poesia di Dante di parlare agli uomini di oggi e di sempre del senso della vita umana e dei tormenti spirituali che la caratterizzano", spiega l'autore dell'opera mons. Marco Frisina - "Ogni personaggio che Dante incontra nel suo viaggio è l'uomo con i suoi diversi volti che manifestano la fragilità della condizione umana ma nel contempo anche la sua grandezza. Dante vive la sua discesa drammatica nell'abisso del dolore per poi risalire fino alla gloria, a quell'Amore tanto cercato di cui Beatrice è il simbolo e nello stesso tempo la messaggera. La sua comparsa alla fine del Purgatorio appare a Dante come l'epilogo della sua ricerca ma Beatrice, prendendolo per mano, lo guida più in alto fino a superare l'amore umano per raggiungere la sorgente stessa dell'Amore".
E la musica? Da roboante ed ossessionante nell'inferno, fino alla musica della gioia, come la definisce Matteucci, del Paradiso. Dice Frisina: "Ho ripercorso 7 secoli di musica, dal gregoriano al rock, dal tango di caronte, al romanticismo di Pia e Francesca, alla fuga quasi alla Bach per il serpente".





Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura
Chè la diritta via era smarrita

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
Esta selva selvaggia e aspra e forte
Che nel pensier rinnova la paura…

Notte che dilaghi dentro me
Notte che oscuri la mia vita
Notte che avvolgi la mia mente
In un cammino senza strade

Chiuso in un abisso senza uscita
In un abbraccio gelido
In questa angoscia io mi perdo
In una selva tra le tenebre

Cerco
Una speranza che m’illumini
Cerco una strada oltre il buio
Mentre mi perdo in questa notte
Mentre smarrito cerco l’alba
E grido al cielo
Grido il dolore di ogni uomo
La vita
Che è dolore dentro me…

Tenebrosa selva che mi stringi
In un abbraccio senza amore
Lascia che veda un po’ di cielo
Al di là di queste tenebre

Cerco
Una speranza che m’illumini
Cerco una strada oltre il buio
Mentre mi perdo in questa notte
Mentre smarrito cerco l’alba
E grido al cielo
Grido il dolore di ogni uomo
La vita
Che è dolore dentro me

sabato 12 luglio 2008

Dante, la Divina Commedia e la matematica

La Commedia è ricca di riferimenti matematici che confermano la profonda cultura scientifica di Dante, una cultura diffusa tra i letterati e le persone colte dell'epoca, certo più di quanto non lo sia oggi.
Uno dei più famosi passi matematici di Dante è certo in


Par. XXXIII 133-138:
... … … … … … … … …. … …
Qual è ‘l geomètra che tutto s’affigge
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova;
veder volea come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
... … … … … … … … …. … …


Gli insegnanti e gli studenti, in questi casi, consultano le note di un Critico, poste in fondo alle pagine dei manuali scolastici. Nel più diffuso di tali testi si trova la spiegazione classica: “come il geometra che si applica, concentrando tutte le sue facoltà mentali, all’insolubile problema della quadratura del circolo...tale ero io dinanzi a quella straordinaria visione, ché invano ...” .

Ma che cos’è esattamente il problema della quadratura del cerchio? Si può esprimere in due modi almeno, tra loro equivalenti:
- data una circonferenza, trovare un quadrato o un rettangolo il cui perimetro abbia la stessa lunghezza della circonferenza
- dato un cerchio, trovare un quadrato o un rettangolo la cui area abbia la stessa estensione del cerchio.
Questo problema era già stato risolto molto brillantemente nell’antichità greca, per esempio da Dinostrato nel V sec. a. C. Era una cosa ben nota, tra gli altri ben spiegata da Platone. Da un punto di vista più modestamente scolastico, in IV o V elementare si è appreso che una circonferenza di raggio r misura 2пr;
dunque, se si prende un rettangolo di lati 1 e пr - 1, lunghezza della circonferenza e perimetro di quel rettangolo coincidono; così, l’area di un cerchio di raggio r è пr2; dunque, un rettangolo di lati пr ed r avrà area uguale a quella del cerchio. Ma allora, dove sta l’impossibilità del problema? Dante ha fatto un sottointeso; per motivi soprattutto estetici i Greci privilegiavano le soluzioni “con riga e compasso” La soluzione data da Dinostrato e dagli altri studiosi greci della quadratura del cerchio è sì corretta, ma NON è stata ottenuta con riga e compasso! Inutilmente e per secoli, dapprima i matematici greci e poi via via tutti gli altri, cercarono di quadrare il cerchio con questi strumenti, inutilmente: oggi sappiamo che ciò è impossibile (lo ha dimostrato Lindemann, ma solo nel 1882!). I Greci devono averlo supposto, anche se in modo implicito: Dunque, non è impossibile il problema della quadratura del cerchio: è impossibile nelle modalità dette, con quegli strumenti. Ora, però, il problema è: poiché Dante non dice esplicitamente “con riga e compasso”, è da ritenere che anche lui cadesse nell’errore del Critico, oppure che conoscesse la questione e ritenesse che i suoi lettori pure la conoscessero talmente bene che non valeva la pena star lì a fare i pignoli?
Non avremo mai la risposta a questa domanda
C’è però da dire che per “quadrare il cerchio” spesso si intende una visione diversa anche se del tutto equivalente alla precedente e cioè trovare l’esatto valore del rapporto tra lunghezza di una data circonferenza e suo raggio, rapporto uguale per tutte le circonferenze. Ora, qui si dovrebbe aprire tutt’un’altra storia...


http://www.apav.it/mat/filoslette/letteratura/articoli/articolodamore.pdf